lunedì 11 aprile 2016

Il faro maledetto.

L’uomo che vuole salvare il faro maledetto

«Kers-kuilt kers-kuilt ». 
Andate-via, ulula il vento tra le pietre del faro di Tevénnec.
 
Lo hanno chiamato «inferno» i ventitrè guardiani che lo hanno abitato, i più lasciandogli l’anima, che ora vagherebbe sull’isola senza pena. Suicidi, impazziti, rosi dalla solitudine. Ma la sua lunga scia di morte non spaventa Marc Pointud, l’uomo che ha scelto di auto-esiliarsi nelle sue stanze. 


Tutto parte nel 1869, con l’inizio della costruzione della torre, alta 11 metri e la casa per il guardiano. Siamo nel Nord Atlantico, su uno sperone roccioso tra l’isola di Sein e punta del Van. Bretagna, Finistère. Un tratto di mare che prende il nome d’Iroise, irto di scogli micidiali, graffiato da una corrente vorticosa, sconquassato da venti impetuosi e onde cattive. 
Una zona di naufragi e leggende. Per i bretoni Tévennec era la casa di Ankou, lo scheletro con la falce, che vi era giunto con la Bag Noz, la nave dei morti, dalla Baie des Trépassés. 

Il faro sarebbe stato costruito dopo che un naufrago approdò sull’isola e vi rimase cinque giorni, cercando inutilmente di segnalarsi alle navi prima di morire di stenti. 
I lavori durano 5 anni, qualche operaio ci lascia le penne, il 15 marzo 1875 la lanterna squarcia il buio per la prima volta. L’errore è non classificare Tévennec come faro d’alto mare: così, come se fosse in un luogo tranquillo della costa, gli assegnano un solo guardiano. 

E comincia l’inferno. 

«Kers-kuilt kers-kuilt»
(il suono potrebbe essere il risultato dell’aria che soffia in una grotta 
che attraversa l’isola, combinata con la disperazione di chi via ha soggiornato).

Quei poveri uomini si dimettono, fuggono, s’uccidono. Alla fine l’amministrazione raddoppia i guardiani, instaura una stretta rotazione, promette promozioni e dà il via libera anche alle coppie, la moglie del titolare quale ausiliaria pagata (una di queste sventurate salerà il cadavere del marito, nell’attesa del battello che lo avrebbe riportato a terra). Niente da fare. Solo Corentin Coquet resisterà 15 anni, dal 1881 al 1896; la famiglia Quéméré, tre figli, cinque anni. Ma sono mosche bianche. E così, nel 1910, Parigi ne ha abbastanza e decide di automatizzare il faro.

Il nuovo guardiano  
Ora, dopo 106 anni (solo tecnici, per veloci sortite), sull’isola è sbarcato un nuovo guardiano, il presidente della Société nationale pour le patrimoine des phares et balises (www.pharesetbalises.org), l’associazione che si occupa della conservazione dei fari francesi e che ha ricevuto in concessione questa sentinella dell’Oceano per ristrutturarla e trasformarla in residenza per artisti. 

In verità Marc era atteso a Tévennec già nell’ottobre scorso , per il 140° compleanno della struttura, ma il maltempo - raggiungere questo scoglio non è uno scherzo - ha rovinato la festa. Il 28 febbraio scorso, invece, è andata meglio: l’elicottero è riuscito a sbarcarlo, e prima di lui i materiali e i viveri necessari perché vi soggiorni nei prossimi due mesi. Tanto durerà, infatti, la sua missione, denominata “Lumière sur Tévennec”, vale a dire l’estremo e romantico tentativo di sensibilizzare la Francia sulla sorte dei suoi fari oltre che di raccogliere fondi per il recupero di Tévennec (pare che la regione Bretagna sia stata di manica stretta). 

«I fantasmi? Se li vedo li fotografo...» 

Il nuovo guardiano si è sistemato in una delle cinque stanze di pietra fredda, 30 metri quadrati ingombri di un letto, due tavole e due cavalletti, un fornello da campo, tende di riciclo a porte e finestre per tagliare il vento. 

Come vince la solitudine? 
«Scrivo il mio libro, creo i video (ogni giorno posta un pezzo della sua vita sui media e social del gruppo Le Telegramme), mi prendo cura di me stesso, medito, guardo il mare, mi godo i luoghi, non faccio nulla, leggo» spiega Marc a Francetv. 

Con sé ha due libri, la Bibbia e un saggio di Jean-Luc Mélenchon. Più telefono e Internet.
(chissà che avrebbero dato i veri guardiani di quest’inferno per averli come alleati nella guerra contro la tristezza).

Fonte: La Stampa. It
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