L’uomo che vuole salvare il faro maledetto
«Kers-kuilt kers-kuilt ».
Andate-via, ulula il vento tra le pietre del faro di Tevénnec.
Lo hanno chiamato «inferno» i ventitrè guardiani che lo hanno abitato, i
più lasciandogli l’anima, che ora vagherebbe sull’isola senza pena.
Suicidi, impazziti, rosi dalla solitudine. Ma la sua lunga scia di morte
non spaventa Marc Pointud, l’uomo che ha scelto di auto-esiliarsi nelle
sue stanze.
Tutto parte nel 1869, con l’inizio della
costruzione della torre, alta 11 metri e la casa per il guardiano. Siamo
nel Nord Atlantico, su uno sperone roccioso tra l’isola di Sein e punta
del Van. Bretagna, Finistère. Un tratto di mare che prende il nome
d’Iroise, irto di scogli micidiali, graffiato da una corrente vorticosa,
sconquassato da venti impetuosi e onde cattive.
Una zona di naufragi e
leggende. Per i bretoni Tévennec era la casa di Ankou, lo scheletro con
la falce, che vi era giunto con la Bag Noz, la nave dei morti, dalla
Baie des Trépassés.
Il faro sarebbe stato costruito dopo che un
naufrago approdò sull’isola e vi rimase cinque giorni, cercando
inutilmente di segnalarsi alle navi prima di morire di stenti.
I lavori
durano 5 anni, qualche operaio ci lascia le penne, il 15 marzo 1875 la
lanterna squarcia il buio per la prima volta. L’errore è non
classificare Tévennec come faro d’alto mare: così, come se fosse in un
luogo tranquillo della costa, gli assegnano un solo guardiano.
E
comincia l’inferno.
«Kers-kuilt kers-kuilt»
(il suono
potrebbe essere il risultato dell’aria che soffia in una grotta
che
attraversa l’isola, combinata con la disperazione di chi via ha
soggiornato).
Quei poveri uomini si dimettono, fuggono,
s’uccidono. Alla fine l’amministrazione raddoppia i guardiani, instaura
una stretta rotazione, promette promozioni e dà il via libera anche alle
coppie, la moglie del titolare quale ausiliaria pagata (una di queste
sventurate salerà il cadavere del marito, nell’attesa del battello che
lo avrebbe riportato a terra). Niente da fare. Solo Corentin Coquet
resisterà 15 anni, dal 1881 al 1896; la famiglia Quéméré, tre figli,
cinque anni. Ma sono mosche bianche. E così, nel 1910, Parigi ne ha
abbastanza e decide di automatizzare il faro.
Il nuovo guardiano
Ora, dopo 106 anni (solo tecnici, per veloci sortite), sull’isola è
sbarcato un nuovo guardiano, il presidente della Société nationale pour
le patrimoine des phares et balises (www.pharesetbalises.org),
l’associazione che si occupa della conservazione dei fari francesi e
che ha ricevuto in concessione questa sentinella dell’Oceano per
ristrutturarla e trasformarla in residenza per artisti.
In
verità Marc era atteso a Tévennec già nell’ottobre scorso , per il 140°
compleanno della struttura, ma il maltempo - raggiungere questo scoglio
non è uno scherzo - ha rovinato la festa. Il 28 febbraio scorso, invece,
è andata meglio: l’elicottero è riuscito a sbarcarlo, e prima di lui i
materiali e i viveri necessari perché vi soggiorni nei prossimi due
mesi. Tanto durerà, infatti, la sua missione, denominata “Lumière sur
Tévennec”, vale a dire l’estremo e romantico tentativo di sensibilizzare
la Francia sulla sorte dei suoi fari oltre che di raccogliere fondi per
il recupero di Tévennec (pare che la regione Bretagna sia stata di
manica stretta).
«I fantasmi? Se li vedo li fotografo...»
Il nuovo guardiano si è sistemato in una delle cinque stanze di pietra
fredda, 30 metri quadrati ingombri di un letto, due tavole e due
cavalletti, un fornello da campo, tende di riciclo a porte e finestre
per tagliare il vento.
Come vince la solitudine?
«Scrivo il mio
libro, creo i video (ogni giorno posta un pezzo della sua vita sui media
e social del gruppo Le Telegramme), mi prendo cura di me stesso,
medito, guardo il mare, mi godo i luoghi, non faccio nulla, leggo»
spiega Marc a Francetv.
Con sé ha due libri, la Bibbia e un saggio di
Jean-Luc Mélenchon. Più telefono e Internet.
(chissà che avrebbero dato i
veri guardiani di quest’inferno per averli come alleati nella guerra
contro la tristezza).
Fonte: La Stampa. It
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